focus di approfondimento - Seconsa parte
di Giuseppe Rinaldi
L’Impero e il monachesimo
Sarebbe del tutto impossibile studiare in modo disgiunto il monachesimo greco dalle vicissitudini imperiali, per il fatto che, fu molto forte la commistione tra le due realtà, che si sostennero e promossero vicendevolmente, prima di giungere agli eventi delle persecuzioni iconoclaste. Sostanzialmente, fino a quel momento, le due identità godettero di comuni privilegi. Nello specifico, mentre il monachesimo usufruì dell’approvazione imperiale, che vide nel fenomeno religioso un simbolo di potere, garanzia e supporto alla vita stessa dello Stato, quest’ultimo ne promosse la crescita, favorendo la nascita di nuovi monasteri, con una serie di privilegi garantiti.
I monaci rappresentarono, dunque, la Chiesa nei più alti livelli sociali.
Alcuni studiosi considerano il ruolo dei monaci greci fondamentale allo sviluppo e all’espansione dell’Impero in nuovi territori, tra cui quelli del mezzogiorno italiano, in cui aspetti culturali e comportamentali conformi ai loro stili di vita - a seguito delle pregresse tradizioni della Magna Grecia - ne favorirono l’insediamento. Acciò, ne costituiscono testimonianza i continui scambi tra il meridione d’Italia e il mondo bizantino, tra i centri monastici italiani e quelli orientali.
Con gli Isaurici al governo si assistette, in questo modo, ad una vera e propria cristianizzazione dell’Impero e, sin dagli inizi, la legislazione bizantina tentò di inglobare il monachesimo negli ambiti statali.
In questo clima favorevole, i monasteri continuarono a crescere in ricchezze e poteri, esercitando un’influenza sempre più elevata sulla società bizantina.
Parallelamente a tale fenomeno, però, si osservò un decadimento lento e graduale dell’autorità imperiale, che iniziò a suscitare scompiglio tra gli Isaurici, i quali cercarono di far crescere nella società una coscienza maggiormente “patriottica”, ostacolando lo sviluppo del monachesimo, colpevole, tra l’altro, di sottrarre forze umane ed economiche, diversamente disponibili allo Stato.
Le persecuzioni iconoclaste
In questo specifico frangente, iniziarono a prendere forma atteggiamenti volti alla marginalizzazione del fenomeno monacale, che vedranno immotivatamente riposta nell’iconoclastìa la causa persecutoria scatenante.
Con la salita al trono dell’Imperatore Leone III Isaurico, detto l’Iconoclasta (dal 717 fino al 741), si diede inizio ad un lungo periodo di lotta contro il culto delle immagini, che si portò avanti per circa cento anni. In questa prima fase, ne venne stroncato severamente il culto, senza ripercussioni maggiori a carico dei monaci, fra i più accaniti difensori delle immagini.
Con l’editto del 725, si diede ordine che le immagini fossero eliminate dai luoghi pubblici, i mosaici ricoperti di calce, gli affreschi staccati; stesso destino infausto per reliquie, icone e statue, che furono buttate a mare, mentre i manoscritti vennero bruciati.
Nel 729, l’Imperatore depose il Patriarca di Costantinopoli, Germano.
Nel 730, con l’ufficializzazione di una forma di governo teocratico, in cui le attività religiose sono gestite direttamente dal governo civile e poste in parallelo alle attività governative, l’iconoclasmo fu riconosciuto dottrina ufficiale di Stato con la motivazione che “Dio, avendo affidato il Regno agli Imperatori, ha comandato loro di prendersi cura del gregge di Cristo”.
Va considerato, inoltre, che la teocrazia bizantina portava con se tendenze pagane e anti-cristiane.
Ma quali furono le motivazioni reali che indussero i Basileus a scagliarsi contro il culto delle icone?
In realtà, queste scelte furono prive di motivazione fondata, se non quella di giustificare una “dichiarazione di guerra” ai monaci, sostenitori e propagatori del culto delle immagini sacre, la cui venerazione vedeva un progressivo incremento.
Si aprì, quindi, un dibattito pubblico sull’icona, con il quale ebbe inizio la lunga disputa iconoclasta.
Le principali motivazioni della disputa furono essenzialmente due:
- Tentare di sottomettere la Chiesa allo Stato attraverso la lotta al monachesimo;
- Regolare la situazione economica dello Stato.
Durante l’ultimo periodo del governo di Leone III le norme si fecero meno rigorose, ma con la salita al trono del figlio Costantino V (dal 741 al 775), soprannominato “lo sterco” dagli iconoduli (veneratori delle immagini), le persecuzioni divennero nuovamente intense. I monaci furono appellati come “genìa maledetta” o “sciagurati”.
Costantino confiscò le grandi proprietà monastiche, convertendo i monasteri in edifici pubblici, caserme e stabilimenti balneari; vennero disciolte le comunità monastiche con conseguenti azioni vessatorie nei confronti dei monaci. La Chiesa, avversata anche dal popolo, non si oppose ai provvedimenti imperiali e molti monaci fuggirono in altri territori dell’Impero.
Gli storici, a tal proposito, stimano in un numero complessivo di cinquantamila unità i rifugiati a Roma, in Italia meridionale ed in Sicilia.
La persecuzione di Coprònimo ebbe inizio nel 765 e durò per dieci anni, fino alla sua morte. Tali azioni persecutorie vennero attuate nei confronti di quei monaci che rifiutarono di dichiarare pubblicamente la loro adesione alla dottrina iconoclasta, imponendo agli stessi una trasformazione radicale della loro immagine, tale da alterarne l’essenza agli occhi del popolo. Furono, quindi, indotti a prender moglie e ad abbandonare tutti i segni esteriori. In molti si lasciarono sedurre da queste imposizioni e furono appellati “monaci giurati”, aderenti, anche solo formalmente, alle leggi dello Stato.
Coloro che invece si opposero, detti “ monaci ribelli”, furono oggetto di persecuzioni più atroci.
Si evince dalle cronache bizantine dei monasteri che la lotta raggiunse maggiore intensità nel 770, periodo in cui molti di questi (particolarmente nella Decapoli Isaurica), abbandonarono la lotta, adattandosi alle nuove leggi ecclesiastiche dettate dagli imperatori.
A Costantino V, seguiranno le dominazioni di Leone IV (discendente diretto che continuò la persecuzione, seppur in maniera più pacata), Costantino VI e Irene (dal 797 all’802). Irene, prima Imperatrice donna ed ultima della dinastia Isaurica, si adoperò per la soppressione dell’iconoclastia, riprendendo e restaurando il culto alla Vergine e alle immagini sacre, con il VII Concilio Ecumenico-di Nicea II (del 787 d.C.), da lei convocato e presieduto. I monaci presero parte al Concilio con un’ampia rappresentanza, come ricompensa per le forti persecuzioni ricevute.
Una seconda ondata iconoclasta si registrò dall’ 813 all’842.
Con la dominazione imperiale di Leone V l’Armeno (813-820), ostile alle immagini sacre, venne reintrodotta la persecuzione che, pur essendo ispirata a quella precedente, non si manifestò comunque con la stessa violenza e lo stesso vigore.
Per scongiurare una ribellione, a seguito di malumori già conclamati in Costantinopoli, interessata da un nuovo periodo di recessione economica, l’Imperatore riunì un gruppo di ecclesiastici che, riferendosi alle Sacre Scritture e agli scritti dei Padri della Chiesa, trovassero una motivazione sensata alla reintroduzione dell’iconoclastia. Il patriarca Niceforo I proibì il culto delle icone.
Nell’815 Leone V convocò un concilio che riconfermò quello di Hierìa (convocato nel 754 da Costantino V, in cui la venerazione delle icone era già stata condannata come eresia), opponendosi perciò al VII Concilio Ecumenico di Nicea II del 787, in cui il culto fu riabilitato.
Leone V venne ucciso nell’820 da Michele l’Amoriano, che si proclama nuovo imperatore riammettendo l’uso, ma non il culto, delle icone. Alla sua morte, con la successione del figlio Teofilo (829-842), ricominciarono le persecuzioni.
Con il Sinodo dell’843, convocato dall’Imperatrice Teodora di Bisanzio, moglie dell’Imperatore Teofilo, si dichiarò definitivamente legittimo il culto delle icone e l’iconoclastia venne nuovamente condannata come eresia. A commemorazione di tale evento, istituì “la festa dell’ortodossia”, ancora oggi ricordata dalla chiesa bizantina.
Ad oggi, tutti gli eventi iconoclastici possono essere considerati come un punto di partenza per una nuova rinascita, una nuova unione Stato-Chiesa.
Conclusioni
Al termine di questo lavoro possiamo trarre alcune conclusioni, seppur prive di ufficialità.
La Basilicata non sempre fu sotto dominio bizantino, ma nello specifico, quando i monaci guidati da San Vitale arrivarono a San Chirico nel 980 ca., sul territorio vigevano ancora le leggi imposte dai Basileus. Nel contempo, la furia iconoclasta era ormai sopita da ben centoquarantotto anni (l’842, segna l’anno della fine della seconda ondata iconoclasta), il che probabilmente portò i monaci a ritenere sufficientemente sicuro il luogo prescelto. Lo testimonia il fatto che essi permasero sul territorio di San Chirico per ben trecentoventotto anni circa, dal 980 al 1308, a dimostrazione di una presenza ampiamente duratura.