don Nicola Modarelli
La Lettera apostolica “Patris Corde” (“Con cuore di Padre”) che Papa Francesco ha offerto alla Chiesa in occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale patrono della Chiesa universale offre l’occasione di volgere lo sguardo su colui che i Vangeli ci presentano come il padre di Gesù, colui cioè che lo ha custodito, amato, educato, protetto, avviandolo, insieme alla madre Maria, a compiere l’opera di misericordia di Dio Padre.
San Giuseppe è l’uomo “servo” indispensabile alla storia della salvezza, il quale, senza mai apparire ed essere protagonista, è diventato colui che ha iscritto il Figlio di Dio e di Maria nell’anagrafe dell’umanità: è lui che va con Maria a Betlemme, nella casa del pane e lì, insieme alla sua famiglia, iscrive Gesù nell’anagrafe della storia.
La Lettera apostolica “Patris Corde” ci offre di San Giuseppe una lettura e una descrizione che lo rende attraente. San Giuseppe è uomo, sposo, padre, lavoratore, credente nella modalità più serena e più ricca ma anche più responsabile. È uomo che ama con fedeltà, sposo che accoglie un mistero che è la ricchezza di Maria sua sposa, padre che esercita la paternità ubbidendo alla voce immateriale dell’Angelo, lavoratore che ha il compito di far vivere la famiglia educando il figlio alla laboriosità, il credente che “fece come l’Angelo gli aveva ordinato” (Mt 1,24) diventando così collaboratore generoso e paziente dell’opera di salvezza.
La Lettera di Papa Francesco rimette al centro l’esercizio e il compito della paternità.
Da tempo si dice e si scrive che la nostra è una società senza padri: c’è da augurarsi che le parole di Papa Francesco ripropongano seriamente la figura del “padre” come indispensabile nella crescita armonica e nella educazione completa dei figli, che tanto oggi sembrano soffrire di punti di riferimento educativi affabili e consapevoli.
C’è un altro aspetto della figura e della testimonianza di San Giuseppe che può tornare utile alla cultura contemporanea ed è il suo “silenzio” con cui dà risposta al volere soprannaturale di Dio. Certamente il suo compito non facile avrebbe potuto aprire le strade della lamentela, della solitudine, di un certo rimpianto umano: non è così, egli offre risposte al centro delle quali regna l’obbedienza, l’amore al sacrificio e la responsabilità di non svicolare di fronte alle fatiche. L’azione umana e paterna di San Giuseppe conosce i “limiti” imposti dalla vocazione del Figlio Gesù e contemporaneamente mette insieme l’esercizio di una presenza che si fa, unita a Maria, amabile rimprovero e rinnovata ubbidienza alle parole del Figlio: “Non sapevate che mi devo occupare delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49).
Un’ultima nota che mi piace sottolineare, e che è presente nella Lettera Apostolica, è il riferimento al suo essere custode di una famiglia esule costretta ad abbandonare la propria terra per salvare il Bambino dalla stupida vanità di un potente. Questo aspetto dovrebbe aiutarci a saper leggere i drammi attuali delle emigrazioni che rivelano sofferenze e privazioni di tante persone.
La speranza è che questa Lettera apostolica sia accolta e vissuta e che ognuno possa imitare, nella propria vita, gli atteggiamenti umani e spirituali di San Giuseppe.