di Roberto Bonin
“Non tutti i mali vengono per nuocere”, dice un famoso detto italiano. E così è stato anche per la pandemia di Covid-19, e in particolar modo se la si analizza dal punto di vista della diffusione digitale. È sotto gli occhi di tutti, difatti, che l’attuale situazione di emergenza sanitaria abbia fatto fare al nostro Paese quel grande salto in avanti, in fatto di lotta al digital divide, che si aspettava da tempo. Finalmente – ed è proprio il caso di dirlo – i prodotti, i servizi, e soprattutto la “cultura”, digitale ha conquistato definitivamente tutti gli italiani, facendogli abbracciare nuovi stili di vita e nuovi paradigmi tipici dell’era informatica. Rispetto a Paesi più digitalmente avanzati, il Belpaese è sempre apparso come il fanalino di coda, e non solo in Europa ma nel mondo intero, superato anche da nazioni apparentemente meno avanzate.
Ma, come molte cose fatte all’italiana, anche in questo caso si sono verificate – e purtroppo non poche – alcune falle. Blocchi improvvisi di portali web istituzionali a parte, una questione che ancora divide non solo gli addetti ai lavori è sicuramente quella relativa all’utilità o meno della famigerata app Immuni. A disposizione di tutti gli utenti dal giugno scorso, l’applicazione mobile (dati aggiornati al 27 novembre 2020, data della stesura di questo articolo, nda) è stata scaricata da quasi 10 milioni di italiani, per una media di quasi il 20% si scala nazionale. La regione più virtuosa, anche a fronte della sua ridotta popolazione, è la Valle d’Aosta con una percentuale oltre il 31%, seguita da Abruzzo e Sardegna. La nostra Basilicata si posiziona al di sopra della media nazionale, con un confortante 21,2%.
Fin qui nulla da eccepire, a parte il fatto che il 20% della popolazione italiana appare sicuramente un valore decisamente al di sotto delle aspettative e agli obiettivi in base ai quali l’app è stata creata. Le criticità iniziano invece dalle registrazioni di casi positivi inseriti, pari – fino ad ora – a poco più di 5.600: per la verità, un po’ troppo pochi rispetto al milione e mezzo di casi registrati in Italia. Valore invece già più accettabile quello delle notifiche inviate, ossia le comunicazioni di possibile esposizione al rischio generate dall’applicazione, pari a oltre 80mila (dato parziale, poiché mancante dei 2/3 delle segnalazioni su dispositivi Android, nda). Scarsa anche l’interoperabilità a livello europeo, ossia la possibilità di scambio di segnalazioni con altre nazioni del Vecchio Continente che, allo stato attuale, comprende solo Spagna, Germania, Irlanda, Danimarca, Polonia, Croazia e Lettonia.
Ma andiamo per ordine. Le criticità di Immuni sono iniziate fin dalla sua concezione e creazione, fin da quando le istitituzioni preposte erano alla ricerca di una possibile piattaforma mobile, non solo per il tracciamento dei casi positivi, già peraltro disponibile a livello di Sistema Sanitario Nazionale e di singole ASL e ASST e presidi medico-ospedalieri. L’aspetto più problematico era sicuramente quello relativo alla protezione dei dati personali, in questo caso sensibili; problema parzialmente risolto – o, per meglio dire, aggirato – con la possibilità di conservare i dati direttamente sul proprio smartphone, senza doverli condividere e archiviarli su un enorme database centralizzato e con la distribuzione in modalità open source (ossia totalmente aperto e gratuito) del codice sorgente dell’applicazione stessa. Non ultima, poi, l’assicurazione che tutti gli eventuali dati archiviati fossero conservati solo per un periodo limitato. In più, c’è anche da dire che – diversamente da come pensano in molti - l’applicazione non sfrutta il segnale GPS, né tantomeno il Bluetooth o la rete wi-fi, ma il suo funzionamento è legato solo ed esclusivamente al segnale Bluetooth LE e, comunque, qualsiasi eventuale passaggio di dati tra dispositivi o verso server esterni, può essere controllato e disattivato in ogni momento con pochi e semplici passaggi, direttamente dal proprio dispositivo, indipendentemente che sia basato su tecnologia Android o iOS. E non solo. Anche tutte le registrazioni di eventali interazioni avvenute tra dispositivi e server esterni possono essere cancellate dal proprio dispositivo in ogni momento. E ancora, la sicurezza dell’intero sistema è pensata in modo che il codice univoco che contraddistingue il singolo device e il o i server ad esso associati cambino in continuazione.
Per concludere, Immuni è quindi sicura? In linea generale sì, anche se in questi mesi tentativi di “bucare” il sistema ce ne sono stati, tutti fortunatamente sventati e risolti nel giro di poco tempo. A tal proposito, ricordiamo, ad esempio, la segnalazione di malfunzionamento riportata da La Repubblica a metà settembre, oppure la problematica occorsa più recentemente ai terminali iPhone dopo l’aggiornamento al nuovo sistema operativo iOS 14. Ovviamente, come per tutti i prodotti tecnologici, non ci si può mettere la proverbiale “mano sul fuoco”, ma, considerate le modalità con cui è stata concepita e realizzata l’app, ci sentiamo di affermare di sì, giudicandola anche come una delle migliori applicazioni mobile mai realizzate dalla pubblica amministrazione del nostro Paese.
Ma allora dove sono le problematiche? A parte il fatto che, una volta installata, l’applicazione rimane del tutto “silente”, e quindi apparentemente “non funzionante” agli occhi dei più, qualche difficoltà c’è stata innanzitutto nella segnalazione della propria posivitità: tutti abbiamo ben impressa nella mente la puntata de “Le Iene” in cui l’inviato Giulio Golia non riusciva a inserire nel sistema il proprio stato di salute. E ancora, un altro grande problema è a livello delle notifiche, del tutto prive di informazioni dettagliate sulle modalità dell’avvenuto contatto. La notifica prevede difatti solo la data del possibile contagio, oltre alla certezza che gli smartphone delle due persone siano stati a meno di due metri l’uno dall’altro per almeno 15 minuti di tempo. Non è dato quindi sapere dove e in quale circostanze sia avvenuto il contatto, né tantomeno come comportarsi successivamente. Per quest’ultimo aspetto, la parola passerebbe inequivocabilmente all’ASL di riferimento o al proprio medico curante.
Altro grande problema – ancora non del tutto risolto - è la difficoltosa integrazione tra il sistema dell’app e i dati in possesso del Sistema Sanitario Nazionale che, in più occasioni, è risultata in ritardo e non priva di evidenti carenze. Insomma, come viene confermato anche da alcuni promotori dello stesso progetto, si può affermare che “Immuni è sicuramente utile, ma si limita a fare lo stretto indispensabile”. Anche se, per diritto di cronaca, è bene riportare il primo caso ufficialmente riconosciuto in cui l’app ha permesso di lanciare un allarme utile a limitare il contagio: il 19 luglio scorso una persona di Chieti contagiata dal coronavirus, avendo Immuni, ha reso possibile che arrivasse l’avviso di rischio contagio, via notifica app, a tutte le persone con cui era stato a stretto contatto.
Per quanto riguarda invece il nostro umile e modesto parere, ci sentiamo di cosigliarne sicuramanente l’utilizzo: l’applicazione è difatti sicura, gratuita, occupa pochissimo spazio di memoria sul telefonino e, soprattutto, è utile. E non solo per difendere se stessi e i propri famigliari – in particolare gli anziani -, ma per dar vita a un reale ed efficace tracciamento dei contagi, una delle principali armi che possediamo per combattere questo nemico invisibile così pericoloso e spietato. Bando a inutili e dannose teorie negazioniste e complottistiche, l’applicazione non mette a rischio la nostra sfera privata (ricordiamoci sempre che nell’era dei social network la nostra privacy è costantemente messa a dura prova da ben altre piattaforme tecnologiche!), ma può dare una mano – anche se piccola – ai noi stessi e alla nostra comunità.