don Nicola Modarelli
Il tempo si è fatto breve recita la preghiera di colletta della quarta domenica di Quaresima. E’ un invito che il Signore ci fa per prendere coscienza di ciò che vivremo a breve e cioè la pasqua di resurrezione. Siamo quindi chiamati a riscoprire la nostra vocazione di cristiani, a vivere da risorti. Purtroppo la parola “vocazione” è una parola assai contaminata. Gode di cattiva fama in molti ambiti. Ma soprattutto per colpe nostre, purtroppo in ambito ecclesiastico.
La vocazione, si pensa, l’avrebbe solo chi ha ricevuto direttamente da Dio una chiamata particolare per un servizio ecclesiastico. Un reclutamento di forze speciali per la promozione, il mantenimento e la difesa della Chiesa. Per tutti gli altri uomini e donne questo termine non avrebbe alcun senso, non gli riguarderebbe. Ora senza diminuire l’importanza per la chiesa delle vocazioni di speciale consacrazione, è strategico recuperare una cultura vocazionale che riguardi tutti gli uomini e tutte le donne, senza alcuna esclusione. Ripartire dal corpo può essere fondamentale. Perché siamo corpo, siamo stati chiamati alla vita, e ogni vita è vocazione. Il corpo con la sua fragilità è un appello alla cura, al reciproco sostegno e alla dedizione gratuita, alla convivialità gioiosa e alla fraternità operosa. Solo così correggeremmo la tendenza della nostra epoca che ci rilega davanti ad uno schermo illudendoci di vivere la vita. Nella celebrazione Eucaristica è evidente come il corpo rappresenti per eccellenza il luogo della comunione con Dio. Mangiamo il corpo di Cristo e beviamo il suo sangue per divenire corpo di Cristo, per essere trasformati nel suo corpo. Nell’eucarestia accogliamo il dono della salvezza: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Cristo dona la salvezza a chi mangia il suo corpo e beve il suo sangue; ed è bene sottolineare come il mangiare e il bere sono azioni vitali: nessuno può farne a meno per vivere. Per questo la celebrazione con i suoi gesti acquista un significato profondo perché diventano operatori della relazione tra i fedeli con Dio. E tali gesti non sono privi di conseguenze, operano su chi li compie, offrendo un senso all’esistenza. Ancora la celebrazione non comunica semplicemente un messaggio, ma offre un’esperienza che coinvolge tutta la persona, interiorità ed esteriorità. Non si esce uguali come si è entrati: l’incontro con il Risorto, il contribuire alla manifestazione del mistero, non può lasciarci indifferenti, ma incide, giorno dopo giorno nel nostro corpo trasfigurandolo. Questo è il mio augurio per la Pasqua di prendere coscienza di qual gran dono ci ha fatto il Signore.