Don Vincenzo Lofrano e le “tracce di esperienza cristiana” a San Chirico Raparo
Raffaele Rinaldi
Mi piace sempre richiamare le gocce di rugiada, quando mi accingo a riflettere a voce doppia sulle cose di maggiore pregnanza della mia esperienza umana. Solitamente lo faccio perché, da bambino, due cose mi incantavano: i segni della rugiada sui vetri di casa e i fiocchi di neve in discesa dal cielo.
In entrambi i casi, con la maturità, ho capito che la prima esperienza simboleggiava nel mio subconscio i tratti profondi del tempo (quasi una lacerazione); mentre la seconda penetrava i rivoli dell’anima, nelle sue diramazioni più estese.
Pur non volendo, con il presente scritto, mi trovo a giocare nuovamente con la rugiada…..e lo faccio accendendo delle spie che non vogliono avere il sapore di un sentimentalismo infruttuoso (ancor peggio se prossimo al “passatismo”); quanto, piuttosto, il senso di un racconto che si trasforma in fabula, dentro precisi segni storici costituenti il frutto esteso di un respiro comunitario ormai consunto e ampiamente dileguato.
Mi aiuterà, in questo compito complesso, l’esperienza di un passato quasi vicino, ma anche molto lontano.
Quando nel 1969 giunse a San Chirico don Vincenzo Lofrano, la comunità portava ancora su di sé i segni di una lacerazione consumata negli ultimi anni del decennio, la cui transizione era stata affidata per un breve periodoa don Pinuccio Carbone (prete dei “cristiani per il socialismo”)e, per un periodo più prolungato, a don Egidio Guerriero–sacerdote mite e riflessivo. Erano anni di grande vivacità, anni di sfida e confronto estesi a tutte le componenti della società.
Anche una comunità piccola (ma assai più grande di quella odierna) come la nostra aveva di che riflettere e voleva farlo con una tensione morale e culturale di grande impatto. Compiti cui assolvevano tutte le forme aggregative presenti: dalle “sezioni” dei partiti, ai circoli cattolici, a quelli del tempo libero, dove spesso si ritrovavano gli esponenti più in vista del paese. A ridosso di quel clima si compenetra la prima esperienza in terra sanchirichese da parte del giovane sacerdote di Episcopia giunto in paese con una FIAT 1100 nera e con famiglia al seguito.
Da subito ebbe inizio un rapporto molto aperto con la comunità: i giovani affollavano la Parrocchia, desiderosi di “fare” e scoprire la modernità del messaggio cristiano (tutta la società occidentale si trovava nel mezzo di una rivoluzione generazionale legata ai movimenti sessantottini). In un clima di cambiamenti diffusi, il giovane sacerdote comprendeva da subito che la partita vera si disputava su quel campo: essere messaggeri di Cristo, come nella fase primordiale. Incarnare la Sua presenza nell’incontro con gli altri costituiva la sfida basilare!
Frutto di tale intuizione era la grande mobilitazione culturale che don Vincenzo metteva in moto, quasi per gioco, finalizzata alla pulizia straordinaria degli antichi libri della Biblioteca Capitolare Parrocchiale, fondata da Mons. Antonio M. De Sarlo. Quasi inaspettatamente, l’invito veniva raccolto dalla quasi totalità dei giovani che, nelle calde giornate estive del 1970, tuffandosi in quell’esperienza che ricordava l’afflato universale della Firenze alluvionata del ’66, facevano a gara nel lavoro richiesto. Noi adolescenti spesso venivamo messi da parte dai più grandi, in un impeto di sana gelosia, e sovente restavamo alla porta del Duomo ad aspettare l’arrivodei fardelli in pacchi polverosi e scaffali consumati dal tarlo. Inconsciamente, non sapevamo che altri nostri coetanei in quegli stessi anni avevano già vissuto esperienze simili, seppure di altra specie, in un borgo lontano e sconosciuto chiamato Barbiana, guidati da un altro sacerdote che avrebbe fatto parlare e tremare molti benpensanti: don Lorenzo Milani.
Solo il tempo ci avrebbe poi raccontato queste cose…
La gente rifletteva e diceva: “cosa fanno in Chiesa tanti ragazzi a magiare polvere?....c’hanno la testa fresca!”
Ma noi eravamo felici e stavamo bene in compagnia, perché quello era il nostro primo vero momento di comunione. Nel frattempo don Vincenzo ci raccontava di Mons. De Sarlo e della sua biblioteca. Per la prima volta apprendevamo delle discipline attribuite allo scibile umano, così come il Fondatore le aveva volute incasellare in una prima rudimentale forma di catalogazione: Lettere; Storia; Apologetica; Patristica; Teologia; Filosofia; Giuridica; Predicazione; ecc.: un universo da scoprire! In cima ai nostri sogni l’immagine di cose che a malapena riuscivamo a immaginare…
La tensione culturale, in quegli anni, era arricchita anche da quel cospicuo numero di giovani frequentanti la Secondaria superiore dell’Istituto Professionale per segretari d’azienda. L’Orfanotrofio era diventato un vero e proprio studentato ospitante le tante ragazze provenienti dai paesi vicini. Le porte dell’Orfanotrofio cominciarono ad aprirsi anche per noi: don Vincenzo periodicamente chiamava a raccolta tutti i giovani del paese per incontri comuni e momenti di riflessione. Venivamo incitati a saper riconoscere la nostra modernità assumendo come esempio vivo la figura di Cristo, additataci dal “don” come il primo rivoluzionario della storia; il primo e l’unico da emulare!...E veniva facile accettarlo perché in Sua compagnia riuscivamo a toccare e vedere “cieli nuovi e terre nuove”. Era proprio lì il senso delle cose: stare insieme in Suo nome era bastante a tutti i nostri giorni e allo scendere della sera era bello chiedergli ancora di restare in nostra compagnia, per avere pace.
In quello stesso anno, per la prima volta nella sua storia, il Duomo si trasformava per una sera in teatro!
Decine di giovani, mobilitati dalla spinta propulsiva del nuovo sacerdote, proponevano un recital sulla figura umana del Cristo, sull’onda del successo mondiale registrato dal musical “Jesus Christ superstar”, servendosi di mezzi rudimentali costruiti artigianalmente, con inventiva e passione da laboratorio. Era quello il “metodo della fratellanza” da custodire nel cuore e non disperderlo mai! Quel metodo sarebbe poi stata la traccia degli anni Settanta.
In quella stagione, iniziavano anche a fiorire le prime gitescolastiche (il “don” insegnava Religione sia alla Scuola Media che al Professionale) e parrocchiali. Roma, Firenze, Venezia, Pompei, Napoli…….tutto lo stivale veniva esplorato con gioia e animosità, mentre si incominciava a forgiare l’idea di essere protagonisti anche nell’animazione culturale: viene messo in piedi il Cinema Parrocchiale a Santa Maria. La sala un tempo destinata a refettorio dell’asilo infantile, veniva occupata con poltroncine in legno e periodicamente vi si proiettavano i film tanto attesi. Quasi sempre, in tanti restavano fuori, sperando nella replica della proiezione.
...Intanto, il tempo scivolava e la rugiada tracciava anche rivoli vermigli. Era il giugno del 1971 quando tragicamente uno dei “figli” del “don” prematuramente ci abbandonava, determinando nella comunità intera un senso di sgomento e impotenza profondi. Increduli, ci interrogavamo con sguardi pieni di paura, quasi a chiederci “perché” Dio avesse chiamato a sé forse il seme più prezioso di quella esperienza di vita cristiana.
Nel trascorrere degli anni, il ricordo si sarebbe trasformato nella certezza assoluta di essere amati da Dio, per la gioia che riusciva a infondere in noi tutti, nonostante le tante lacerazioni e tradimenti. C’eravamo ed eravamo amati sotto la guida certa di don Vincenzo, che dopo ogni arrabbiatura distribuiva sorrisi a tutti come un moderno Filippo Neri; fin quando iniziò una nuova avventura ormai a ridosso della metà degli anni Settanta. Era difatti il 1973 quando l’Annuncio diventa linfa avanzata di un processo di maturazione delle nostre esperienze personali: si aprivano le porte ad una nuova esperienza ecclesiastica con Comunione e Liberazione. Don Vincenzo ne diveniva ben presto il trascinatore, chiamandoci nuovamente a raduno; e in tanti rispondemmo all’invito. Molti di noi si fermarono e molti altri abbandonarono, ma di certo tutti restammo profondamente segnati in maniera indelebile da quell’esperienza.
Erano anni di comunione intensamente vissuta. La canonica, già al centro del nostro emisfero, si trasformava gradualmente nel luogo della quotidianità, dove ridere, scherzare, discutere e……….pregare ci facevano scoprire il gusto del sentirsi “una cosa sola” nel Suo nome, pregnanza dei nostri giorni.
Parallelamente si sviluppava in paese un ulteriore momento di “confronto” tra diverse anime, molto vivo in quegli anni. Il dibattito serrato vedeva da un lato il nostro Movimento, tutto proteso a sostenere le ragioni di una Chiesa in cammino sotto la guida del Santo Padre Paolo VI, sospinti dalle ali dell’entusiasmo della prima esperienza voluta da don Luigi Giussani con Gioventù Studentesca, già a margine degli anni Cinquanta; dall’altro le forze progressiste di sinistra (PCI, PSI e Democrazia Proletaria), che consideravano le nostre posizioni clericali e reazionarie (nel frattempo, maturava anche l’esperienza del Circolo Culturale Giovanile, a ragione di quella “vivacità culturale” richiamata). Al di làdi ogni sospetta posizione di parte, tutte le diverse esperienze coinvolte facevano da corollario prezioso nella estensione di una crescita generalizzata di noi giovani, prendendosi cura delle diverse sensibilità. Ed anche in questo don Vincenzo era la guida certa del rinnovamento: ci invitava non solo alla tolleranza quanto all’amore per il Cristo che giorno dopo giorno riuscivamo a riconoscere nella nostra carne, quale unico strumento di certezza assoluta che potesse stagliarsi dinanzi agli orizzonti vivi del tempo che vivevamo.
Nel 1975 nasceva il Movimento Popolare, costola di CL, con l’intento di allargare alle diverse espressioni della società civile un impegno fattivo dei cattolici in politica. Il M.P. per differenziarsi anche nella forma da C.L. assumeva sede autonoma in via Roma (fuori dalla sede istituzionale di C.L., collocata nell’ex sala cinema di Santa Maria). Nello stesso anno il 15 agosto nasceva anche la “Festa Popolare in piazza” (quella che oggi è divenuta storicamente il Ferragosto Sanchirichese), con lo scopo di favorire il mantenimento e il rafforzamento della identità popolare, quale strumento di difesa comune dal crescente impoverimento dei valori cavalcato dalla società civile. In quella occasione don Vincenzo, da attento osservatore, cavava il coniglio dal cappello: rispolverava l’antico Palio dell’Assunta (ormai dimenticato) trasformandolo in Pignatte! La festa era stata anticipata nel corso delle Feste Natalizie del 1974 da un’altra Festa popolare, svoltasi al chiuso presso la Sala Rinaldiin via Duomo alla presenza del Vescovo Mons. Vincenzo Franco. Ricordo quei momenti a mente: nei due giorni precedenti tutti mobilitati nel fare quanto occorrente; la canonica trasformata in friggitoria improvvisata per la preparazione delle Crispelle, sotto la direzione sapiente delle signore del paese. Insomma, una vera Festa di popolo!
In quegli stessi anni, la Domenica pomeriggio si trasformava nella festa dei bambini. Alle 15.00 di ciascuna settimana, porte aperte a S. Maria per svolgere Oratorio: 15.30 – 17.00 animazioni di gruppo e giochi; 17.00 – 18.00 catechismo. Ancora oggi, mi capita di incontrare qualche bambino/a di allora (oggi ormai adulto/a) che testimonia con piacere il desiderio provato nell’attendere settimanalmente quel momento. Una vera festa nel fare memoria dell’incontro con il Cristo vivo, presente in mezzo a noi!
Nel 1979, sempre su iniziativa del don, si realizzava un ricongiungimento forte con gli emigrati di Argentina: è la prima visita Pastorale guidata dal Vescovo Mons. Franco e da don Vincenzo alla cospicua comunità sanchirichese residente in Ciudadela – Buenos Aires, in occasione della Festa annuale di Santa Sinforosa, ivi celebrata alla fine di Ottobre di ciascun anno. La delegazione portava in dono la riproduzione artistica della statua di Santa Sinforosa ai figli di Argentina.
Al momento della sua partenza, nel 1981, don Vincenzo lasciava un’eredità cospicua fatta di uomini formatisi all’ombra del suo insegnamento, essendo egli stato il Capitano perfetto di tanti ragazzi e giovani divenuti adulti ma rimasti per sempre “i ragazzi del don” in “cieli nuovi e terre nuove”.